Archivi del giorno: aprile 30, 2012

Editoriale – Profeta per Caso

Potremmo dire che l’arte non va in vacanza.

Potremmo dire che però noi una pausa ce la siamo presa.

Potremmo dire che le idee sono tante ma la volontà è tutt’altra storia.

Potremmo dire che tenere in piedi un blog sembrava cosa semplice.

Potremmo dire che ci affanniamo nel tentativo di dare forma al sogno.

Potremmo dire che…

Auguri all’attrice statunitense Kirsten Dunst (30), all’attrice italiana Violante Placido (35), al regista/sceneggiatore tedesco Florian Henckel von Donnersmarck (39), all’attore e wrestler statunitense Dwayne Johnson (40), al regista/sceneggiatore statunitense Wes Anderson (43), all’attore/regista italiano Ricky Tognazzi (57), alla regista/sceneggiatrice neozelandese Jane Campion (58), al regista/sceneggiatore francese Jacques Audiard (60), al cantante e attore italiano Massimo Ranieri (61), all’attore statunitense Richard Jenkins (65), all’attore britannico David Suchet (66), all’attore statunitense Lance Henriksen (72), al regista/sceneggiatore polacco Jerzy Skolimowski (74).

Guardando al percorso del produttore/regista danese Lars von Trier (56 anni oggi) è impossibile evitare di domandarsi come sia riuscito a farsi accettare dalla critica istituzionale senza mai fare un’autentica e totale concessione al tanto ricercato (e sopravvalutato) buonismo cinematografico. Termini come autoreferenziale, incoerente, irriverente, plateale, scorretto e chissà cos’altro non basterebbero a definire la figura più emblematica del cinema di ricerca degli ultimi vent’anni. Geniale quanto basta per meritare interi capitoli monografici sui manuali, Trier ha fatto notizia lo scorso maggio per alcune ambigue affermazioni riguardo l’olocausto durante la conferenza stampa per la presentazione del suo ultimo film, intitolato “Melancholia”(2011), al Festival di Cannes. Per fortuna tutto ciò non ha intaccato l’assegnazione del premio come miglior attrice alla bella (già citata) Kirsten Dunst nel contesto dello stesso concorso.

Difficile schierarsi quando si è di fronte a personaggi del genere, sempre pronti a far spettacolo di sé e della propria arte pur illudendosi di mantenere la facciata di un’inattaccabile integrità professionale. L’autodisciplina è senza dubbio la chiave di lettura ideale in quanto egli stesso ha più volte lasciato intendere numerosi trascorsi depressivi dovuti ad un’infanzia priva della figura paterna: una vita dedicata alla ricerca di un metodo, una linea di pensiero fuori dal coro che potesse donargli quell’equilibrio, quel senso di controllo sulla realtà mai davvero conosciuto nella propria esperienza e immediatamente proiettato sulla materia creativa. Non va poi sottovalutata nei giusti limiti la strada del narcisismo – per sue parole più simile ad autodivinazione – , in qualche modo comprovato dalla scelta (risalente alla metà degli anni ’70) di aggiungere arbitrariamente il Von nobiliare germanico al proprio semplice nome. Tra i fondatori del movimento Dogma95 – legato alla castità della rappresentazione filmica, di contro alle abitudini ‘catarticommerciali’ hollywoodiane – ne tradirà presto i dettami per meglio restituire una serie di ossessioni personali e convinzioni filosofiche pressoché impossibili da sintetizzare in tale sede.

Esordisce nel 1984 ma è solo con “Le onde del destino”(1996) che si fa notare a livello internazionale ed è invece col musicale “Dancer in the dark”(2000) che ottiene l’unico vero successo di pubblico anche grazie alla partecipazione della cantante islandese nota come Bjork. Negli anni seguenti si permette persino degli esperimenti tecnici come la realizzazione di un remake in cinque diverse versioni e la progettazione di una trilogia (mai terminata) con ambientazione statunitense, alla quale appartiene il capolavoro “Dogville”(2003), girato interamente in un interno teatrale praticamente privo di scenografia. Una pura provocazione sarebbe invece “Il grande capo”(2006) giacché prodotto attraverso la tecnica dell’Automavision: un computer gestisce la ripresa in maniera casuale, non vi è alcuna cura della fotografia e gli attori sono rimessi alla scrittura complessiva.

Gli ultimi lavori rivelano poi una malsana soggezione per la figura femminile.           Potrebbe apparire infatti interessante la collaborazione reiterata con l’interprete francese Charlotte Gainsbourg, già confermata per il prossimo futuro. Di enorme impatto (soprattutto visivo) si presentano, infine, “Antichrist”(2009) e appunto “Melancholia”(2011), attraverso i quali Trier raggiunge l’estremizzazione di un dramma umano per lui inaccettabile e quindi inevitabilmente destinato alla distruzione. Con una parola: MOSTRO.

Alessandro Amato