Ted (Non preoccupatevi, non è un’altra inutile pagina di Facebook)

TITOLO: “Ted”

REGIA: Set McFarlane

GENERE: Commedia

DURATA: 1o6 min.

PRODUZIONE: USA, 2012

USCITA NELLE SALE: Giovedì 4 ottobre 2012

Ted è un film che ha già nauseato chi frequenta abitualmente il web e Facebook.

Che un orsetto di peluche, animato grazie ad un desiderio natalizio, fumasse il bong lo si sapeva già da mesi e da fastidio un pubblico che va al cinema sapendo già di cosa ridere.

Mi spiego meglio. Domenica sera, in centro a Milano, al cinema Odeon, l’orsacchiotto di Set MacFarlane si è esibito davanti ad una sala quasi piena a poco meno di tre settimane dalla sua uscita nelle sale italiane. Si tratta evidentemente di un fenomeno in cui molti vogliano mettere la propria firma, dire “c’ero anche io” per poter ridere alle sue battute e citarle nelle prossime settimane sui social network. Ecco perché Ted, un film dal concept geniale, non ha il pubblico che si merita.

Tralasciando gli imbarazzanti applausi, estremamente fastidiosi, in sala ad ogni battuta del film (neanche fosse la prima di Frankenstein Jr.), sono rimasto basito da un elevato numero di persone che, bene educate e indottrinate da trailer e spoiler continui, sapevano già quando ridere e quando sarebbe arrivata quella precisa battuta che avevano letto s quel post. La triste verità è che la vera comicità di MacFarlane, quella fatta di non-sense e ripetizioni quasi ossessive, è stata colta da pochi e le battute migliori sono passate tristemente silenziose (a parte il sottoscritto che rideva da solo nel buio della sala), immeritatamente in sordina rispetto alle parti più grossolane e pubblicizzate. La canzoncina del temporale fa ridere ma molto più divertente è la descrizione tagliente e “piazzata lì” delle capacità attoriali di Sam J. Jones nel pluricitato Flash Gordon (1980). Fa ridere il teddy bear coccoloso e un po’ sgualcito strafatto di erba che dice parolacce, ma in pochi, a parere di chi scrive, sono stati in grado di apprezzare in pieno un film che merita una lettura decisamente meno volgare e superficiale di quella che gli viene dedicata.

Se il pubblico in sala prende un’ insufficienza grave (ma il pubblico cinematografico di Milano raramente andrebbe promosso), il film passa con buoni voti.

Come già detto, l’idea di base è eccezionale e segna un buon passo avanti nella rilettura sempre più televisiva e fumettistica del cinema. Il creatore de I Griffin ne approfitta per inserire una buona dose di cattiveria e di irriverenza, senza paura di estrarre dal cappello dell’immaginazione battute a carattere sessuale delle più esplicite e una rilettura coraggiosa della tipica favola di Natale che porta, nelle locandine, l’orsacchiotto Ted ad autocensurarsi.

Apprezzabile il lavoro registico che raggiunge il proprio apice nella sequenza in cui, dopo aver sniffato cocaina (altro tema difficile che MacFarlane tratta con una leggerezza quasi preadolescenziale), l’orsacchiotto e il protagonista Mark Wahlberg decidono di aprire un bar. Lì la cinepresa è in grado di seguire i pensieri confusi e allucinate dei due protagonisti, disegnandone il ritmo e la confusione.

Bravi i due principali attori umani: il già citato Mark Wahlberg e Mila Kunis che formano una coppia credibile e ben assortita, nella trama così come nell’intesa in fase di ripresa.

Un altro articolo dedicato meriterebbe l’effetto speciale che da vita a Ted sullo schermo. Set MacFarlane ha utilizzato una tecnologia molto simile a quella impiegata da Peter Jackson sul set de Il Signore degli Anelli per realizzare Gollum. La differenza sta nella possibilità, per MacFarlane (regista e protagonista del film) di poter indossare la tuta davanti alla telecamera interagendo fin da subito come orsacchiotto di peluche con gli attori in carne ed ossa, mentre Andy Serkis (Gollum), pur recitando fin da subito, doveva fare ulteriori riprese da solo per potersi trasformare nella creatura descritta da Tolkien. Questo sistema offre una possibilità di variare e improvvisare illimitata ed una naturalezza sullo schermo che deriva proprio dall’interazione massima tra digitale e umano.

Bel film, si ride molto e si rimane sorpresi da una violenza da cartone animato che non si limita nemmeno di fronte al picchiare bambini. Unica pecca: il finale. Non si anticipa nulla in questo articolo, ma bisogna sottolineare come il film perda tanti punti a causa del suo stesso epilogo. Iniziata con un bambino ebreo picchiato per le festività, la pellicola perde in cattiveria man mano che avanzano i minuti fino a giungere ad una conclusione buonista che tradisce lo spirito iniziale e che risulta dolciastra ed indigesta. Certo, fanno ridere le scritte in coda alla Animal House, ma ci sarebbe da chiedersi quanto la produzione abbia influito sulla stesura del testo o preoccuparsi per una inspiegabile sconfitta della parodia e della cattiveria da parte di MacFarlane che, in ogni caso, sorprende in negativo proprio all’ultimo, dopo una prestazione decisamente meritevole.

Simone Falcone

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