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L’eroe che venne dal futuro

Un saluto affettuoso all’attore canadese (naturalizzato statunitense) Michael J. Fox (51 anni oggi), noto a molti per l’interpretazione di Martin McFly, irresistibile protagonista della saga “Ritorno al futuro”(1985, 1989, 1990) di Robert Zemeckis. Non si tirino subito delle conclusioni affrettate, per cortesia: egli fortunatamente non ci ha lasciati e nemmeno ci è andato vicino, piuttosto sappiate che semplicemente amiamo ricordare la sua storia.

Colpito da una grave forma di Parkinson giovanile, ne rese pubblica la notizia solo nel 1998 quando aveva ormai conquistato i cuori di milioni di fan e completato quasi del tutto (per scelta come per necessità) la propria carriera cinematografica.

Quest’ultima composta per lo più da commedie stereotipate e magari un tantino retoriche ma senza dubbio piene di brio e il più delle volte scritte praticamente sulla sua pelle.

Ottimi recuperi sarebbero, a tal proposito, “Il segreto del mio successo”(1987) di Herbert Ross, “Insieme per forza”(1991) di John Badham con James Woods, “Caro zio Joe”(1994) di Jonathan Lynn con Kirk Douglas (!!!), “Sospesi nel tempo”(1996) di Peter Jackson e “Intestate 60”(2000) di Bob Gale (già produttore/sceneggiatore della trilogia di Zemeckis) con Gary Oldman. Incontrerà invece la già citata (v. Editoriale) Natalie Portman in “Mars Attacks!!”(1996) di Tim Burton, nel quale si limita ad un improbabile cameo. Allo stesso tempo non sono però da dimenticare la pellicola drammatica “Vittime di guerra”(1989) di Brian De Palma con Sean Penn e la collaborazione con Woody Allen.

Negli ultimi tempi si dedica molto alla televisione e alla vita famigliare, avendo colto nella propria situazione un insperato lato positivo che lo trattiene dal vivere senza limiti. <<La malattia – ha detto – mi ha salvato la vita>>. Curiosa ed emozionante la fugace (auto-ironica) apparizione in veste di guest-star nella terza stagione (2004) della serie “Scrubs”, che lo vede interpretare un medico esperto ma invalidato da manie ossessivo-compulsive.

Sostenitore e raccoglitore di fondi a favore della ricerca sulle cellule staminali, il Nostro ha creato la Michael J. Fox Foundation for Parkinson’s Research e in seguito ha scritto un libro autobiografico, intitolato Lucky Man. Nel 2010 è riapparso nelle vesti che l’hanno reso celebre in occasione del 25esimo anniversario di “Ritorno al futuro”, per il quale è stato disposto persino a rigirare il trailer e promuovere così la distribuzione del cofanetto Blu-Ray.

Un amore per il sogno del cinema, il suo, ancora forte e insaziabile sebbene il fato sembra aver voluto altrimenti. Siamo perciò in attesa di buone nuove da questo artista, da questo simbolo di una generazione di eterni ragazzi che hanno visto il mondo crollare sotto i loro piedi quando avrebbero preferito volare a bordo di una DeLorean verso un futuro che ricordavano migliore. Ora lo guardano con coraggio, con ottimismo e vivono le loro vite cogliendo l’attimo e aiutando il prossimo, o almeno è quello che dovrebbero fare seguendo l’esempio di Michael J. Fox.

Alessandro Amato

Paradigma dell’italiano!?

La figura di Alberto Sordi è stata spesso sottovalutata od analizzata sotto una lente in parte errata e superficiale. Troppo spesso se ne parla come un semplice attore comico. I film di Sordi si possono sostanzialmente dividere in due grandi filoni: quelli comici nazionalpopolari e quelli tragici.

Alla prima delle due categorie appartengono la maggior parte dei suoi film; in particolar modo meritano Il marchese del grillo nel quale l’attore romano veste i panni di un marchese disinibito e trasgressivo nella Roma a cavallo tra Settecento e Ottocento, nel quale si può scorgere molto bene il carattere del romano sempre strafottente e burlone con tutti i toni grotteschi del caso.

Un film molto importante nella sua filmografia, e poco legato alla pura italianità, è Finché c’è guerra c’è speranza nel quale ha reso molto bene il grande problema dell’inconciliabilità di una professione immorale, ovvero quella del trafficante d’armi, con quello di una famiglia viziata da un consumismo dilagante: magistrale resta l’ultima scena, resa molto bene da inquadrature molto intense e significative,  nella quale davanti all’accusa della moglie e dei figli di essere un “mercante di morte” spiega come in verità la colpa di mestieri come il suo non stia tanto nell’immoralità della singola persona che professa quel mestiere, quanto in una società che non si accontenta mai di ciò che ha.

Per quanto riguarda il secondo filone, assai poco nutrito, vi sono solo due film degni di nota, nei quali però Sordi risulta impacciato: Un borghese piccolo piccolo nel quale veste i panni di un padre che accontentatosi di una vita mediocre ripone tutte le sue speranze nel figlio, che però gli viene ucciso davanti agli occhi; ecco così che comincia un’ossessiva ricerca dell’assassino che porterà il personaggio in questione a paradigma del male umano. Di stampo diverso invece il film Imputato in attesa di giudizio nel quale l’attore romano riesce con sbalorditiva crudezza a mostrare la tragicità in cui versa il sistema giudiziario in Italia, che per un banale errore di omonimia trasforma la vacanza di un uomo in un’odissea vera e propria fatta di prigionia e maltrattamenti; un vero film denuncia che risulta tutt’oggi attuale purtroppo.

Questi sono solo alcuni degli esempi che si potrebbero fare riferendosi alla filmografia sordiana, però proprio da questi esempi possiamo capire come non fosse solo l’attore “romanaccio” de Lo scopone scientifico e nemmeno solamente un attore comico, ma come egli abbia saputo coniugare la sua romanità simbolo di un’italianità grottesca con   personaggi che rimarranno espressione di valori autentici.

Ludovico Barletta

When You Wish Upon a Star…

Che Walt Disney sia un genio è, ormai, assodato.

Chi non conosce Mickey Mouse o Donald Duck? Chi non si ricorda della strega di Snowhite o delle scope incantate in Fantasia? O, ancora, chi non ha mai sentito Hakuna Matata o The Circle of Life?

Ci sarebbero molti temi da considerare riguardo questa figura, da molti ritenuta controversa e, da altri, ingiustamente denigrata.

In questo articolo, mi soffermerò, in breve, sul rapporto di Walt Disney con il suo tempo e con i messaggi che sapeva trasmettere ai suoi contemporanei.

Lo scenario è questo: crisi del 1929…gli USA ne escono distrutti. Tutta la scala di valori della società statunitense degli Roaring Years viene travolta e ribaltata. Si vanno via via perdendo tutte le certezze che avevano segnato l’espansione economica nordamericana del primo dopoguerra. Licenziamenti in blocco, sfratti, criminalità organizzata e suicidi sono le parole chiave di una società sull’orlo del baratro. Chi era ricco si arricchiva e chi era povero moriva. Il 1929, però, è segnato, anche, da una forza dirompente ed inarrestabile, una forza che, da pochi decenni a quella parte, era entrata senza bussare nel vocabolario degli americani: il cinema.

Non è difficile immaginare lo schiaffo che la fantasia delle storie di grandi uomini dai grandi ideali poteva dare alla depressione. Andando al cinema, lo spettatore medio poteva vedere narrati in forma visiva racconti di chi sconfigge con forza i propri nemici per riportare ordine ed allegria nella propria vita. Il cinema di quegli anni raccontava l’utopia del lieto fine.

Mickey Mouse nasce nel 1928, e si trova a crescere proprio nel panorama della crisi.

Le storie di questo inimitabile personaggio e, più in generale, i cortometraggi prodotti dalle industrie Disney (si vedano, ad esempio, le Silly Simphonies) raccontavano un mondo che sapeva andare oltre i postulati del buon senso, un mondo dove un topo piccolo e povero poteva avere la meglio su un grosso gatto; un mondo dove un cane, scappando da una casa di ricconi, porta con se un tacchino ripieno da condividere con il suo padrone costretto all’addiaccio. Il mondo che immaginava Walt era un mondo di riscatto sociale dove la fantasia sconfigge la crudeltà della realtà e il povero ha la meglio sul ricco semplicemente perché sa di essere migliore.

Disney, con la sua opera ha saputo regalare, per quei dieci minuti di visione, un briciolo di speranza a chi di speranza non ne aveva più. Ha raccontato a quella gente illusa e crudelmente disillusa che “se puoi sognarlo, puoi farlo”.

Walter Elias Disney era un grande imprenditore, un capitalista fissato con il lavoro che imponeva orari massacranti ai suoi disegnatori ai quali negava addirittura un sindacato, ma il messaggio che sta dietro i suoi cartoni animati non può che svelare l’anima di un uomo che sapeva vedere oltre la fantasia stessa. Quella di Walt e dei suoi eredi è una realtà che esula addirittura dalle regole del marxismo, che rielabora il concetto di utopia proponendo un nuovo mondo in cui credere, un mondo privo di colori e bandiere, un mondo realizzato con la sostanza stessa dell’immaginazione. La cosa incredibile, però, è che Disney non poteva fare a meno di crederci e che i suoi spettatori non potevano e non possono fare a meno di sperarci.

Simone Falcone