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“Esequie Solenni” Ovvero un Reading Metateatrale

Per poter parlare esaurientemente di questo spettacolo teatrale è necessario presentare i protagonisti della messa in scena: l’autore e la regista.

Antonio Tarantino, drammaturgo italiano contemporaneo che nulla ha da spartire con il regista omonimo, scrive Esequie Solenni all’interno di una trilogia sulla storia recente italiana. La trama è quasi inconsistente, totalmente priva di azione – teatrale e non – e non vi è caratterizzazione convenzionale dei personaggi. Come però sottolinea la regista Andrée Ruth Shammah in occasione di un incontro con alcuni studenti all’Università Statale di Milano, il dramma è caratterizzato da una tensione che fa restare lo spettatore attento a quello che avviene in scena. I personaggi quanto mai interessanti sono Nilde Iotti (o Leona) e Franca De Gasperi che lungi dall’avere il ruolo di personaggio storico determinante per l’evoluzione italiana, si confondono tra loro, scambiandosi ruoli, perdendo identità a fronte di un sovrapporsi sconcertante di parole sino a uscire da se stesse per diventare metateatrali.

E proprio da questo che Andrée Ruth Shammah, regista fondatrice del Teatro Parenti  nel 1972 con  Franco Parenti, Giovanni Testori e Dante Isell  presso cui si svolge la rappresentazione, trae la base del suo spettacolo. Dopo alcuni problemi con la realizzazione dello spettacolo in maniera naturalistica e la sostituzione a tre giorni dal debutto di una delle due attrici (Ivana Monti e Laura Pasetti), riesce a realizzare una rappresentazione di un testo considerato irrappresentabile tramite l’uso della metateatralità. Le due attrici possono così scambiarsi ruoli, entrare uscire dalla parte e spiegare alcune linee, che altrimenti risulterebbero confuse, del testo.

Questa rappresentazione ha una scenografia che è realisticamente uno spaccato di una abitazione e al contempo mantiene significati simbolici del dualismo Iotti/De Gasperi e ha giochi di luce molto intensi (e ancor più interessanti se si procedesse all’eliminazione di una inutile scala).

La recitazione è però quasi totalmente statica, giustificando la staticità presente in Tarantino con la lettura della parti invece della loro effettiva recitazione. Una totale non immedesimazione dell’attore nel personaggio ma anzi un personaggio bloccato nella sua fissità e una attrice che si può muovere solo quando non è personaggio.

Inoltre vi è un personaggio non presente sulla scena ma forse determinante nell’immaginazione dello spettatore anche: un esserino peloso, deforme e privo del senso dell’umorismo. Quale sia la sua natura non è dato saperlo: memoria, dolore, ricordo? Questo è uno dei dubbi che lo spettatore deve sciogliere da sé.

L’effetto che rimane nello spettatore non è di sicurezza ma anzi appare duplice in più di un senso. Il primo è quello delle parole, si ha la sensazione di dover vedere lo spettacolo infinite volte per poter comprendere ogni passaggio e ogni minuzia dei ragionamenti che si perdono nel fiume di parole e nella loro lettura un po’ troppo veloce in rapporto alla loro difficoltà ma al contempo ci si rende conto della totale inutilità delle parole a fronte dell’unica azione della piece: la Scelta, ovvero partecipare alle esequie e vivere una vita di lutto come simbolo del partito o scappare con un nuovo possibile amore? E appunto questa scelta il secondo dilemma: sono donne che parlano di uomini per un ora e venti o donne che impongono se stesse e la loro presenza nel mondo? E così tutti gli altri temi scivolano via tra le parole: la morte, la vita, il partito, l’amore. Allo spettatore pare di aver afferrato solo il fumo di un idea vaga che ha lasciato dietro di se solo il suo profumo.

Alessandra Carlino