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Il “Grazioso” Canova

Come si fa a rimanere impassibili di fronte alla famosissima statua di Amore che abbraccia Psiche? I due corpi che si incrociano rapiscono lo sguardo suscitando un’immediata tenerezza, facendo percepire palesemente l’amore che li unisce. Chi non rimane affascinato da Napoleone rappresentato come Marte vincitore nel cortile dell’Accademia di Brera? Una statua che dall’imperatore più famoso dei francesi viene rifiutata perché è rappresentato senza veli, mentre in realtà sprigiona potenza e autorità, probabilmente anche perché non era proprio un “ritratto” fedele del monarca. Cosa si può dire poi della sensualissima Paolina Borghese? La quale addirittura viene posta su un meccanismo semovente, in modo tale da poterla orientare ogni volta in base alla luce per far cogliere la sua bellezza.

Tutto questo si realizza grazie all’opera di un grandioso autore (per quanto mi riguarda, uno dei miei preferiti) che riesce a far sì che i suoi lavori non siano solo arte, ma siano vera e propria vita: Antonio Canova. Io che inizialmente ero restia davanti alla scultura dopo l’incontro con le statue di quest’uomo ho avuto un ripensamento, sono riuscita a cogliere qualcosa che prima non vedevo. Cosa mi ha colpito così tanto? La sua “grazia”; sì, scritto tra virgolette perché non è una qualità che attribuisco io alle sculture canoviane ma lui stesso. Lui per primo vuole dare ai suoi personaggi questa caratteristica e ne teorizza una sua personale visione. Secondo Canova ogni statua deve essere in grado di comunicare, comunicare qualsiasi cosa, uno stato d’animo, un’emozione, un’impressione…

Deve essere in grado di “interagire” con il fruitore che si trova di fronte, non per forza ogni volta nello stesso modo, non con gli stessi scopi e non con gli stessi risultati. Quindi la “grazia” è una peculiarità che partecipa allo stesso modo dell’opera, così come di colui che in quel momento la guarda, è quel qualcosa che permette allo spettatore e alla statua di entrare in sintonia in modo che il primo riesca a percepire l’arte contenuta nella seconda. Questo, se ci si pensa, è un modo molto personale di vedere l’arte perché, al contrario di come si è sempre pensato, in un certo qual modo l’opera ha bisogno non solo dell’artista per vivere, ma anche di qualcuno che la recepisca in quanto tale, sebbene ogni volta in maniera diversa e con emozioni differenti. Non è solo l’arte che si manifesta in quanto tale, perchè qui si sta dicendo che l’arte, senza qualcuno che ne gode, non può esistere; come si nota un’affermazione molto forte e soprattutto in contrasto con tutto quello che dell’arte si era detto prima. Teniamo conto che Michelangelo un paio di secoli prima aveva affermato che la materia vitale era insita nel materiale e l’artista aveva il solo compito di farla emergere, come se il marmo piuttosto che il legno “facessero tutto da soli” e quindi non avessero bisogno di niente, se non di quella mano amica che fisicamente li liberasse. Un concetto altrettanto nobile, ma radicalmente diverso.

Canova rappresenta ciò che nel Settecento viene definito “genio” (ossia colui che crea) e credo che questa definizione calzi perfettamente; per capirlo basta provare a sostare davanti a una delle sue opere e prestare attenzione a questa per qualche minuto. Come succede nella vita, con le persone, sono incontri che non si dimenticano.

Cristina Cattaneo