10 MOTIVI PER LEGGERE “HO LE MIE 10 COSE”
- È la nuova rubrica di questo blog che da solo meriterebbe 10 elenchi da 10 per essere capito. E magari uno gli sarà anche dedicato;
- Saranno almeno 10 mesi che penso di scrivere qualcosa su questo blog e finalmente ho trovato un’idea che di sicuro piacerà ai miei 10 lettori (adoro le citazioni letterarie errate e le false modestie che si rivelano realtà);
- Saranno trattati gli argomenti più disparati, spesso i più disperati, ma spero che molti possano essere spunti per ravvivare il vostro interesse e portarvi a nuove esilaranti scoperte ignorando i miei consigli;
- La mia ispirazione è praticamente illimitata, tanto che al quarto punto della presentazione già ne sto usando uno per guadagnare tempo;
- Possiedo un’inventiva fuori dal comune, tanto da creare dal nulla un quinto punto che riesca a non dire nulla tanto quanto il quarto;
- Sciocchino/a;
- Come vedete, sono anche simpaticissimo e irriverente fino ai limiti del buon gusto;
- Arrivati a questo punto, vi meritate perfino un breve indice degli argomenti da cui si partirà:
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- Musica
- Teatro
- Cinema
- Letteratura
- Arte
- Via Noto e dintorni
- Politica
- Sport
- Gossip (per aumentare gli accessi, ma solo quello che riguarda i miei gatti);
- Se volete un assaggio di tutta questa meraviglia, leggete qui sotto le mie prime 10 cose.
I 10 FILM PER CUI VALE LA PENA DI GUARDARE L’INTER IN EUROPA LEAGUE
1. Il classico – 2001: Odissea nello spazio (di S. Kubrick, 1968 – 141’)
Scenografie clamorose, effetti speciali avanti di 30 anni, regista che non ha bisogno di presentazioni. Ritmo (artisticamente voluto, intendiamoci) paragonabile agli esordi del Milan post-Ibra, musica di Strauss per indicarci che siamo nello spazio, un inizio talmente bello da farci distrarre per il resto del film e un finale talmente boh da farci desiderare qualcosa che non si comprende.
Da guardare a rate in 10 intervalli delle partite dell’Inter, per apprezzarlo a pieno.
2. Il drammatico – Il discorso del re (di T. Hooper, 2010 – 114’)
Come si dice, osannato dalla critica, decine e decine di premi, ti siedi con le mani che tremano e le chiappe che sibilano, pronto ad essere investito da una vampata d’arte ustionante.
Le luci si riaccendono, ti alzi e con la massima naturalezza riesci a dire: “Carino, dai. Simpatico!”, completamente dimentico delle aspettative che ti hanno portato a donare 8 euro alla causa di una independent.
Conservare i soldi per andare in curva nord a fare le manette di Mourinho.
3. Il fantastico – Pirati dei Caraibi – Ai confini del mondo (di G. Verbinski, 2007 – 169’)
Hai trovato il primo una bella idea, hai avuto una prevedibile e quindi edulcorata delusione col secondo, sei in treno verso Roma e ti giunge l’idea di passare del tempo provando a guardarlo. Capisci presto che i tentacoli di Day Jones sono la parte più interessante dell’intera saga e passi tutto il film a fissarli ipnotizzato. Ed è meglio così.
Da conservare per quando si va a vedere Roma – Inter.
4. L’epico – Troy (di W. Petersen, 2004 – 163’)
Di questo kolossal rimembro i preadolescenti che parlavano, palpavano, ridevano, parolacciavano allegri dietro di me, l’aereo che passa in non so quale scena, i capelli di Brad Pitt che da grande attore riesce perfino a passare per un One Direction qualunque e poi… Ma ero poi andato a vederlo?
Da conservare per quando scade la tessera di Mediaset Premium.
5. Il western – Il grinta (di J. e E. Coen, 2010 – 110’)
Jeff Bridges torna con i fratelli Coen, l’omaggio a John Wayne, una bambina che alle prime scene si annuncia come l’ennesimo grande personaggio della saga dei fratellini. Per i primi minuti ci stai perfino credendo, di essere di fronte ad un’altra grande prova. Tutto il resto del film si trascina senza costrutto e la speranza si spegne lentamente come le energie del protagonista.
Potenziale senza resistenza, come nel precampionato.
6. Il fantascientifico – Sfera (di B. Levinson, 1998 – 134’)
Un cast più fantascientifico del titolo, un personaggio che muore inghiottito dalle meduse (bellissime) e intorno un film degno del filone catastrofico. Domande, alieni, Samuel L. Jackson.
Da vedere perché il pallone è rotondo.
7. Il bucolico – Una storia vera (di D. Lynch, 1999 – 112’)
Un haiku commovente.
Fratelli riuniti
Dalla morte
Su un tagliaerba
Letto? Piaciuto? Bene, dura quasi due ore. Buon divertimento.
In ricordo del gol di Stankovic da centrocampo. Inter-Schalke 2-5, 13-4-’11.
8. Il cartone – Madagascar (di E. Darnell e T. McGrath, 2005)
Prima o poi doveva succedere. Prima o poi il filone dei cartoni per grandi e piccini, con quella simpatia multilivello e quei personaggi trasversali doveva cadere.
Con Madagascar siamo riusciti a riunire tutti i livelli più bassi degli ultimi anni e a goderceli per ben tre film. Disegni mal fatti, battute scadenti, tormentoni degni del peggior Zelig.
Budget ben speso quanto quello dei primi 10 anni di Moratti.
9. La commedia – Una poltrona per due (di J. Landis, 1983 – 117’)
Più che altro perché l’avrete già visto per un numero di volte facilmente calcolabile:
andate nel cassetto delle candeline. Prendete la più recente che con certezza vi appartiene: la riconoscerete dalle caccole appiccicate sul bordo. Ricordate di contare in sistema decimale se sono candele singole, e di non scambiare le cifre se sono candelotti numerici. Ora se il vostro compleanno cade prima di Natale sottraete 1, altrimenti quello è il numero di volte.
In attesa che l’Europa League si giochi anche la sera della Vigilia.
10. Il gotico – Alice in Wonderland (di T. Burton, 2010 – 110’)
E badate che chi vi scrive ha prodotto una tesi di laurea sul buon Tim e il buon Danny, ma qui direi che il declino cominciato con La fabbrica di cioccolato si rende più esplicito che mai: musiche alla Carmina burina totalmente adattate alla moda del momento e totalmente lontane dalle geniali sinapsi di Elfman, personaggi messi lì solo per l’ego dei truccatori e dei modellatori 3d, un ciciarampa che quando compare ti fa subito venire in mente che magari ha segnato Djorkaeff, o Mazzola, e devi proprio andare a controllare.
Utile per rimpiangere i bei tempi andati.
Filippo Donadoni